Per il mio compleanno mi è stato regalato un libro intitolato “Quando eravamo i padroni del mondo”, di Aldo Cazzullo. Non ho letto il libro, non ancora, e non è tra le mie priorità. Soprattutto diffido di un libro che considera i romani come predecessori unici e inequivocabili degli italiani, o chi li vende come tali. Il concetto di romani e il concetto di italiani sono un bel po’ più complessi di così e, a seconda del periodo storico e delle tendenze ideologiche del tempo, queste due parole assumono diverse sfumature di significato. Ad esempio, il concetto di romanità ai tempi dell’impero comprendeva un’idea di cittadinanza molto ampia dal punto di vista geografico: coincideva pressappoco con i confini dell’impero. Il concetto di italiani era invece puramente geografico e solo in tarda età moderna ha assunto sfumature nazionalistiche e così esclusive; d’altronde il nazionalismo prima di allora neanche esisteva. Noi italiani del terzo millennio siamo il prodotto delle esperienze, delle idee, della nostra storia recente; siamo figli del nazionalismo borghese ottocentesco e della stessa idea portata all’estremo dal fascismo. Siamo anche eredi della tradizione posteriore, del patriottismo moderato della politica della prima repubblica come dell’internazionalismo delle sinistre, pur quasi mai esente da una certa vena patriottica. Siamo figli di un secondo internazionalismo, quello della globalizzazione, e delle volontarie e involontarie reazioni campanilistiche ad essa. Ci inseriamo quindi all’interno di una dialettica almeno secolare fra il locale e il globale, tra una visione più ristretta della comunità e una più ampia, talvolta anche pacifista e filantropica, rappresentata ad esempio da due canzoni simbolo del ‘900 come Imagine di John Lennon e We are the world di Micheal Jackson (USA for Africa).
La narrazione storica del nostro passato, quella che privilegia la romanità e rifiuta la germanità e anzi se ne contrappone è tuttavia inaccettabile: storia, cultura, usi, persino la genetica, dei germani hanno permeato e permeano la nostra società. E no, non mi riferisco all’influenza della Germania sull’Italia in epoca contemporanea; mi riferisco agli Ostrogoti e ai Longobardi, popoli che hanno conquistato e governato l’Italia per secoli, come avevano fatto i Romani in precedenza; mi riferisco al regno dei Franchi e al cosiddetto Sacro Romano Impero, entrambi a turni dominatori della penisola italiana. Siamo stati conquistati dai greci, abbiamo assorbito la loro cultura e tuttora ce ne vantiamo, abbiamo fatto lo stesso con i romani; giunto il momento dei germani li rigettiamo, li consideriamo e li studiamo come “altro” da noi. Come degli intrusi della storia, come i nemici di Roma, quando neanche tutti lo erano. La cultura “italiana” medievale, il famoso feudalesimo, la cavalleria, usi e costumi che si riflettono anche sulla poesia e sulla prosa dell’epoca, ebbene questi concetti sono germanici. E noi dovremmo cominciare ad accettare ogni sfaccettatura della nostra storia, senza dissezionare gli eventi, senza prendere ciò che vogliamo e togliere ciò che non ci piace o non va di moda. Andiamo oltre i programmi scolastici dei tempi monarchici e fascisti e cerchiamo di studiare la storia in modo più oggettivo. Smettendola di lasciarci assuefare dall’attrattività del potere romano, e ricordandoci che anche prima dei romani noi eravamo altro. Noi stessi eravamo “galli” nel nord Italia o messapi in Puglia. I galli e i messapi non sono certo morti, sostituiti dai romani; sono rimasti sempre lì: noi siamo i galli, noi siamo i messapi, noi siamo gli ostrogoti, noi siamo i longobardi.